Editoriale 41
La comunicazione sui media
21 - 27 giugno
29 giugno 2021
Una nuova narrazione per i cambiamenti demografici americani. Coca-Cola: l’importanza del brand activism. Il 2020 per i media e crisi di fiducia nell’informazione in Sudafrica. Cancel culture: censura o tutela delle minoranze?
La Redazione
Una nuova narrazione per i cambiamenti demografici americani
Il mito americano della majority-minority nation non solo è sbagliato, ma è anche pericoloso. Lo evidenzia il nuovo studio condotto da Richard Alba, Morris Levy e Dowell Myers, i cui risultati sono stati pubblicati sul The Atlantic. Negli ultimi anni, demografi ed esperti hanno sostenuto che, nel giro di una generazione, gli Stati Uniti sono destinati a diventare una nazione a maggioranza minoritaria, ovvero con un numero di non bianchi che supera quello dei bianchi. Questa previsione è stata vista da molti americani come l’annuncio di un’era di sconvolgimenti politici, culturali e sociali. La ricerca dei tre studiosi ha rivelato che la narrazione della maggioranza minoritaria non ha fatto altro che contribuire a una polarizzazione nazionale: un racconto che implica una netta divisione tra vincitori e vinti. In realtà, la diversità razziale sta aumentando non solo a livello nazionale, ma anche all'interno delle famiglie americane, anzi all'interno dei singoli americani. E numerosi giovani si definiscono sia bianchi sia appartenenti a una minoranza etnica, come nel caso dei latinos. Ciò smentisce la teoria della maggioranza minoritaria. Inoltre gli americani con origini razziali miste sono il gruppo razziale in più rapida crescita nel paese. La ricerca di Alba, Levy e Myers dimostra infatti che la maggior parte dei bianchi statunitensi è molto più favorevole a una narrazione inclusiva e che il tipo di racconto determina e influenza la percezione di questo cambiamento demografico. Dai dati raccolti emerge che una narrazione inclusiva crea una percezione positiva sul futuro. Secondo i tre studiosi dunque giornalisti, esperti in materia e leader politici hanno l'obbligo di raccontare agli americani la storia completa della crescente diversità e della mescolanza razziale. Ciò, tuttavia, non deve mettere in secondo piano la disparità di opportunità che i gruppi minoritari continuano ad affrontare, ma è importante rappresentare la realtà per quello che è. Chi persegue il mito della majority-minority nation alimenta l'idea sbagliata secondo cui i gruppi etnici siano sempre fissi e divisi. Questa narrazione è stata determinante per tutte le scelte politiche razziste della storia americana. Oggi è necessario un nuovo racconto che mostri come i cambiamenti demografici possano unire e non dividere le persone.
Coca-Cola: l’importanza del brand activism
Alla fine di marzo una curiosa crisi ha avvolto la bevanda gassata più amata del mondo, la Coca-Cola. I repubblicani nello stato della Georgia hanno approvato l'Election Integrity Act - una legge che implementa un'ampia gamma di restrizioni al voto progettate per sopprimere gli elettori democratici, in particolare quelli neri –, l’azienda, che ha il suo quartier generale ad Atlanta, ha avuto difficoltà a prendere una posizione. Se nel corso dei decenni e attraverso i continenti Coca-Cola ha sempre preso esplicitamente una posizione a favore della democrazia (quando il muro di Berlino è caduto, per fare un esempio, la Coca-Cola era presente per brindare), questa volta ha avuto più difficoltà. La prova è l’opinione sommessa alla proposta di legge dell’amministratore delegato della società, James Quincey, che ha portato ad azioni di boicottaggio contro la bevanda nazionale. Come riporta The Economist, dopo diverse pressioni il CEO ha sottolineato come “Coca-Cola Company non sostiene questa legislazione, in quanto rende più difficile per le persone votare, non più facile" (vedi Editoriale 29). Affermazioni che hanno portato a un botta e risposta con le parti politiche a favore della legge, le quali non hanno gradito le parole pronunciate da Quincey e hanno dato vita ad n contraddittorio che potrebbe mettere in serie difficoltà il brand activism del colosso di Atlanta.
Il 2020 per i media
Secondo il Digital News Report 2021, la ricerca condotta da Reuters Institute in 46 Paesi sul mondo dei media, la pandemia ha aumentato nelle persone il desiderio e il bisogno di notizie attendibili e una maggiore chiarezza che spinge le persone a volere che i media siano sempre più imparziali e obiettivi. Alcune delle principali testate d’informazione hanno beneficiato di questa necessità in termini di maggiore fiducia, ottenendo pubblico significativo anche sull'online. La maggioranza delle persone infatti fruisce le notizie tramite smartphone, specialmente attraverso i social e i siti online delle testate. In un anno come il 2020 caratterizzato dall’infodemia e dalla costante e penetrante diffusione di fake news ci si è accorti che il giornalismo e l’informazione in generale hanno ricoperto un ruolo primario determinando, spesso, anche l’umore e l’agire della popolazione. Bozze di decreti pubblicate prima del tempo, notizie imprecise o incomplete ed eccesso di testimoni e voci su uno stesso tema, hanno generato in questo tempo di pandemia grande confusione e importanti ripercussioni nell’affrontare il virus e la “nuova vita” che ha portato con sé: un’informazione chiara, idonea e tempestiva il giusto può davvero fare la differenza nel modo in cui gestiamo e affrontiamo la quotidianità. Il 2020 è stato un importantissimo banco di prova per il mondo del giornalismo ma ne uscirà davvero rinnovato?
Crisi di fiducia nell’informazione in Sudafrica
Internazionale riporta un articolo pubblicato sulla piattaforma sudafricana Eyewitness News, che denuncia una crisi di fiducia generale nei confronti del giornalismo. I motivi di questo fenomeno sono numerosi e vari, ma l’occasione per parlarne si è presentata con la falsa notizia della nascita di dieci gemelli a Thembisa, una località vicino a Pretoria. La notizia “esclusiva” è stata un disastro clamoroso: pubblicata dal quotidiano Pretoria News e dal sito Iol, entrambi del gruppo Independent Media, si è poi diffusa a livello mondiale. Oltre ad aver pubblicato articoli confusi e senza una singola prova del fatto che la donna fosse realmente incinta, il Pretoria News ha poi lanciato una raccolta fondi per la coppia di neogenitori, con tanto di dati bancari, proprio nel momento in cui cominciavano ad apparire le prime crepe nella storia. Il giornalista Piet Rampedi, autore dello scoop iniziale, ha chiesto al pubblico di fidarsi di lui e ha lanciato un’indagine sulla storia esclusiva che lui stesso aveva firmato, ma ormai il danno è stato fatto. La vicenda avrà conseguenze pesanti sul rapporto di fiducia tra i mezzi d’informazione e il pubblico, portando alla luce spaccature profonde. Il giornalismo è alle corde, la circolazione dei quotidiani è in calo, la competizione per i click in rete è spietata e gli introiti pubblicitari si sono ridotti sensibilmente, creando una crisi esistenziale per i mezzi d’informazione. Ma sicuramente non riusciremo a uscirne abbassando il livello.
Cancel culture: censura o tutela delle minoranze?
Sempre più spesso ogni tema di discussione pubblica – che riguardi la salute o l'identità e i diritti dei cittadini – diventa motivo di scontro tra due fazioni contrapposte e fortemente polarizzate. Gli spazi per il confronto – spiega il Sole 24 Ore – sono sempre meno: manca la volontà di ragionare e argomentare la propria idea e i terreni di scontro, le piattaforme online, acuiscono i contrasti per via della loro caratteristiche. La vulnerabilità legata alle proprie opinioni, l’esposizione alla critica anche violenta e il proliferare delle fake news hanno portato parte della comunità accademica a partecipare a quella polarizzazione reattiva chiamata cancel culture. Nel 2020, 150 intellettuali firmarono una lettera pubblicata su Harper's Magazine condannando la tendenza a “cancellare” opere e opinioni considerate politicamente scorrette perché contrarie ai diritti delle minoranze. La tendenza equivarrebbe a una rinuncia al dialogo con la memoria spesso scomoda, una incapacità di contestualizzazione e una limitazione della libertà di espressione. Dall’altro lato, la giornalista Jennifer Guerra è convinta che la nuova attenzione rivolta alle minoranze non sarebbe da ascrivere a una politically correctness dilagante e corrosiva, ma il risultato di un ampliamento di orizzonti della sfera politica. È una tematica talmente complessa che è impossibile guardarla da un solo lato. La filosofa Martha Nussbaum, più di dieci anni fa, lanciò un allarme utile ad entrambi gli schieramenti: per comprendere la complessità del mondo non bastano logica e conoscenze fattuali, ma è necessaria anche l’immaginazione narrativa, ossia la capacità di immedesimarsi negli altri e comprenderne storia, emozioni e desideri.