Editoriale 37
La comunicazione sui media
24 - 30 maggio
30 maggio 2021
Il mea culpa di Di Maio. Bomba D come Disinformazione. Chi ha diffuso più fake news e come si sceglie il nome di un virus. Florida VS Social Network. Friends sì, ma non in Cina.
La Redazione
Il mea culpa di Di Maio
Luigi Di Maio scrive una lettera al Foglio in cui si scusa personalmente con l’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, per la gogna mediatica attivata nei suoi confronti durante la campagna elettorale del 2016. L’ex sindaco del Pd fu arrestato per turbativa d’asta e, negli scorsi giorni, è stato assolto in Appello perché il fatto non sussiste. Come riportato da Linkiesta, ai tempi la notizia dell’arresto di Uggetti finì in prima pagina e, invece, l’assoluzione di questi giorni ha guadagnato qualche semplice trafiletto. È la normalità a livello giornalistico, ma anche a livello politico. Infatti, il 3 maggio 2016, alla notizia dell’arresto dell’ex sindaco l’account “M5S Camera” scrisse: «Comunicazione di servizio: l’arrestato del giorno è Simone Uggetti, sindaco di Lodi del Pd #VotiamoliVia». E da lì, conferenze stampa, manifestazioni, campagne social: i 5Stelle cavalcarono la vicenda come hanno sempre fatto con gli avversari. Non stupisce dunque il loro silenzio di oggi. Il dietro-front di Di Maio è un chiaro segnale di maturità politica, fondamentale per la carica che ricopre. Una mossa che ha forse l’obiettivo di scindere il Movimento, ormai istituzionalizzato, da ciò che era anni fa: un movimento di protesta. Un gesto non approvato proprio da tutti i componenti del Movimento, come dimostra la dichiarazione di Danilo Toninelli: «Prima di chiedere scusa bisogna guardare tutte le motivazioni della sentenza». In questa frase si riconosce il carattere del M5S e di altri partiti come la Lega. Per accusare, linciare ed esporre pubblicamente qualcuno basta il sospetto; per riconoscergli l’innocenza, invece, bisogna leggere attentamente tutte le carte.
Bomba D come Disinformazione
Il dirottamento del volo Ryanair da parte di Lukashenko per l’arresto di un giovane attivista dell’opposizione bielorussa ha scatenato un ampio dibattito mondiale specialmente dopo le impacciate scuse per giustificare il dirottamento inventando un finto allarme bomba. L’episodio ha generato aspre critiche da parte dell’Occidente nei confronti di colui il quale è spesso definito “l’ultimo dittatore d’Europa” mentre ha trovato il prezioso e strategico appoggio della sua controparte russa Vladimir Putin. Come ricordato nell’articolo di Formiche, dopo le elezioni presidenziali della scorsa estate, giudicate illegittime dagli scrutatori internazionali, sono esplose una serie di proteste in Bielorussia e un ampio dissenso che Lukashenko ha cercato di contrastare attraverso il controllo dei media e la violenta repressione di tutte le manifestazioni contro il regime. Il recente episodio ha ancor di più accresciuto l’isolamento sulla scena internazionale di Lukashenko ma in questi ultimi giorni il Cremlino ha mostrato il suo appoggio al dittatore lanciando una diffusa campagna di disinformazione, già intercettata dalla task force europea EUvsDisinfo (vedi Editoriale 8 e 14), volta a difendere le azioni di Lukashenko e confondere le acque. Mentre l’Occidente cerca adesso di combattere una “guerra ibrida” contro la Bielorussia limitando le tratte aeree nel territorio, Mosca prosegue la sua ingente campagna di fake news attraverso la quale screditare l’Occidente e sostenere l’alleata Bielorussia in una lotta che fa dell’informazione, o meglio della disinformazione, la sua principale arma capace di influenzare l’umore sociale e definire, dunque, vincitori e vinti.
Chi ha diffuso più fake news?
Le fake news in tempo di pandemia e vaccinazioni hanno subito un notevole aumento. A confermarlo non è solo la relazione annuale “sulla politica dell’informazione per la sicurezza, ma anche il report 2020 della Polizia Postale che ha registrato un aumento delle segnalazioni di false notizie pari al 436%. Come riporta Prima Comunicazione, Iconsulting ha sviluppato un algoritmo in grado di assegnare un punteggio a ogni singolo profilo Twitter italiano che, tra il 27 dicembre 2020 e il 19 aprile 2021, ha utilizzato determinati hashtag. Da questa analisi si è evinto che le categorie più attendibili sono gli organismi governativi, il mondo sanità e i media; invece, quelli che diffondono più fake news sono i profili politici, gli attivisti, gli imprenditori e il mondo dell’istruzione. Nello specifico, le fonti governative sono le più attendibili (99%), mentre la satira ha un tasso attendibilità dell’80% dal momento che sente la responsabilità di un ruolo importante e si impegna a diffondere notizie attendibili anche più della classe politica.
Come si sceglie il nome di un virus?
Come riporta la rivista Time, il governo indiano sta chiedendo alle aziende di social media di rimuovere tutti i riferimenti alla "variante indiana" del COVID-19, dicendo che il termine non è scientificamente accurato e danneggia l'immagine del paese. È improbabile che le aziende tecnologiche accoglieranno la richiesta, ma questa vicenda sta portando l'attenzione sul problema di come riferirsi alle varianti di COVID-19 che stanno guidando molti dei nuovi focolai in tutto il mondo senza alimentare sentimenti razzisti o xenofobi. Le linee guida del 2015 dell'OMS mettono in guardia dal dare un nome agli agenti patogeni in base ai luoghi in cui hanno origine a causa del rischio di stigmatizzare le comunità coinvolte. Gli attacchi alle persone di origine orientale negli Stati Uniti sono in aumento - cosa che molti dicono sia il risultato dell’insistere dell'ex presidente Donald Trump e altri nel chiamare COVID-19 il "virus della Cina". Ci sono segni che la notizia dell'epidemia in India potrebbe scatenare lo stesso odio. Le autorità di Singapore hanno denunciato un aumento del razzismo anti-indiano legato al picco di COVID-19 in India, dopo che una donna di origine indiana è stata aggredita all'inizio di maggio. L'OMS, nel frattempo, ha dichiarato che sta lavorando a un nuovo sistema "che dà alle varianti di preoccupazione un nome facilmente richiamabile"; la nuova convenzione di denominazione sarà probabilmente simile al sistema usato per gli uragani negli Stati Uniti.
Florida VS Social Network
Dal 24 maggio è entrata in vigore la nuova legge di Ron DeSantis, governatore della Florida, che vieta alle piattaforme social (con almeno 100 milioni di utenti mensili in tutto il mondo) di bloccare i profili e i contenuti dei politici. Secondo l'articolo di Formiche, questa norma limiterà la libertà editoriale di Facebook, Instagram, Twitter, YouTube e impedirà la pratica del “deplatforming”, ovvero bloccare i profili degli utenti che non rispettano la policy delle piattaforme riguardo i contenuti pubblicati. Sempre secondo la legge di DeSantis, nel caso in cui un social network violi la norma, questo dovrà pagare una multa di $250.000 al giorno per ogni profilo bloccato di un candidato per un’elezione statale e di $25.000 per qualsiasi altro candidato. Dal report della NBC è emerso che sono soprattutto i politici repubblicani e conservatori, come DeSantis, ad avere successo sui social, e anche coloro che spesso violano la policy aziendale delle piattaforme. Ma i social hanno già rimediato a questo problema concedendo alcuni privilegi ai politici in modo tale che non vengano del tutto penalizzati. Perché, dunque, la nuova legge DeSantis? Forse perché il governatore della Florida, forte sostenitore di Trump, non ha apprezzato il ban sui social network nei confronti dell'ex presidente (vedi Editoriale 17). O forse perché vuole avere la strada spianata in vista delle prossime elezioni presidenziali? Mentre ci si chiede quale sia il confine della libertà degli utenti (vedi Editoriale 35), bisognerebbe anche chiedersi dove finisce il potere dello stato. Limitare la libertà di espressione dei social non significa ottenere più libertà. Anzi, con la legge DeSantis, potranno circolare con più facilità contenuti falsi, violenti, razzisti ed estremisti, se a pubblicarli sarà un politico.
Friends sì, ma non in Cina
I fan di Friends in tutto il mondo hanno recentemente potuto rivivere le emozioni della serie in un nostalgico episodio reunion. Stando a Wired, lo speciale ha però subito la censura delle tre piattaforme cinesi che lo hanno trasmesso. In particolare, sono state omesse le scene con Lady Gaga, Justin Biebier e la boyband sudcoreana Bts. Ciascuna di queste star ha le sue ragioni per essersi inimicata Pechino: Gaga è al bando dall’incontro con il Dalai Lama (2016), leader degli indipendentisti tibetani; il cantante di Peaches è reo di avere scattato un foto (2014) presso il memoriale dei caduti giapponesi della Seconda guerra mondiale a Tokyo, conflitto in cui hanno combattuto proprio contro la Cina; infine, i Bts avrebbero recentemente dimenticato di onorare le vittime cinesi della Guerra di Corea in un’occasione pubblica, nonostante all’epoca Pechino avesse combattuto a fianco dei nordcoreani. I tagli non sono passati inosservati, anche perché grande era l’aspettativa del pubblico cinese, presso il quale Friends è diventata una vera e propria serie-fenomeno: è grazie ai suoi dvd che molti giovani hanno imparato l’inglese, e diverse metropoli ospitano riproduzioni del celebre Central Perk. Nonostante ciò, la censura cinese non ammette eccezioni e, anzi, l’impressione è che il livello di suscettibilità sia sempre più alto: solo qualche giorno fa il wrestler John Cena si è infatti dovuto scusare pubblicamente per aver definito Taiwan – la cui indipendenza non è riconosciuta da Pechino – “uno stato”.