Editoriale 73
La comunicazione sui media
28 - 06 marzo
8 marzo 2022
Don’t Look Up in Russia e nel frattempo in Cina. Una rete frammentata. Balli pericolosi. Twitter guarda al futuro. In Giappone vince ancora la carta.
La Redazione
Don’t look up in Russia
Come riporta The Economist, in questo momento storico la macchina della propaganda e della disinformazione russa sta oltrepassando ogni limite: gran parte dei cittadini russi non ha chiara la situazione di quello che sta succedendo, e continua a pensare che la Russia non stia conducendo una guerra, bensì una semplice operazione militare quasi incruenta per liberare i suoi fratelli ucraini dal vile Occidente e dai nazisti in Ucraina, spalleggiati dall’estrema destra europea. Per esempio, il sito di Ria Novosti, la principale agenzia statale di notizie online della Russia, il 26 febbraio dichiarava: “La Russia ripristina la sua pienezza storica, riunendo il mondo russo, il popolo russo nella sua interezza di Grandi Russi, Bielorussi e Piccoli Russi [un termine pre-sovietico per gli ucraini]”. L'Ucraina, ha detto, è tornata alla Russia. E il grande leader, Vladimir Putin, “ha assunto, senza una goccia di esagerazione, una responsabilità storica” per questa “soluzione” della “questione ucraina”. I video delle perdite militari della Russia sono spiegati come falsi; la distruzione che le sue forze stanno infliggendo a città come Kharkiv come commesse dagli ucraini e la notizia che l'Occidente sta imponendo dure sanzioni alla Russia, che il rublo è crollato, che i tassi di interesse sono quasi raddoppiati e che gli aerei russi sono ora banditi dallo spazio aereo europeo è menzionata solo di passaggio. Dall’altra parte però la realtà continua a intromettersi. Un'ondata di sostegno all'Ucraina da tutto il mondo e il disgusto per l'aggressione del Cremlino sta rompendo le barriere della propaganda; anche se Internet ha subito rallentamenti per impedire lo scambio di informazioni, notizie accurate si stanno diffondendo all'interno della Russia, anche grazie a canali televisivi, radio e internet indipendenti e si sono già visti numerosi cittadini russi scendere in strada per protestare, nonostante il rischio di venire arrestati. Per alcuni, rifiutare la grande bugia è una prospettiva troppo spaventosa da contemplare. E più la gente sospetta ciò che sta realmente accadendo, più vigorosamente la macchina della propaganda di Putin farà girare nuove fake news, e più brutalmente potrebbe trattare coloro che dicono la verità su ciò che sta accadendo in Ucraina.
Nel frattempo in Cina
In questi giorni di guerra, l’Ucraina sta ottenendo il monopolio dei canali informativi di tutto il mondo eccetto di uno stato: la Cina (vedi Editoriale 69). Come riporta The New York Times, infatti, il paese asiatico sta dando un notevole spazio alle informazioni provenienti da Mosca. Tra le testate più attive troviamo Global Times, il tabloid del Partito Comunista Cinese, e l'emittente statale cinese Central Television Station (CCTV). Se i funzionari europei e americani premono su Facebook, Twitter, TikTok e altre piattaforme online per reprimere la disinformazione russa, Pechino ha deciso di abbracciare in toto la propaganda russa, spesso senza verificare le notizie, contribuendo così a ingrandire la falla della disinformazione. Questo porta ad affermare che, se la Cina vuole rimanere ufficialmente ambigua sul suo sostegno alla guerra condotta da Vladimir Putin rifiutandosi di chiamarla invasione e astenendosi da un voto delle Nazioni Unite per condannare le azioni, i suoi media rendono comunque molto chiara la sua stessa posizione.
Una rete frammentata
Come se non bastasse la guerra in Ucraina, la Russia ha portato il conflitto nello spazio dell'informazione per diffondere su Internet false narrazioni sulla crisi. Come riportato dal Washington Post, il flusso di informazioni false e fuorvianti è iniziato molto prima che Putin avviasse i primi attacchi contro Kiev due settimane fa. La campagna si è concentrata inizialmente sull'”isteria” dei media occidentali circa la possibilità di un'invasione, insieme alla fake news che la NATO e l'Ucraina fossero gli istigatori. Ora che l’invasione è in corso, l'enfasi della sua disinformazione è concentrata sull’eroismo e il successo della Russia sul campo di battaglia, facendo passare il messaggio che gli ucraini siano sulla via della resa o che stiano uccidendo i civili. Le aziende tecnologiche hanno represso le reti di bot e troll su cui Mosca ha contato molto in passato, ma ora i funzionari si appoggiano ai media di Stato. La decisione della Casa Bianca di declassificare informazioni chiave sui piani della Russia e l'agile debunking da parte dell'Ucraina, hanno insieme inflitto importanti colpi alla Russia. Facebook, Twitter, YouTube e TikTok hanno il potere di fare di più: bandire dalle loro piattaforme i media statali russi come Russia Today e Sputnik potrebbe essere la strada giusta. L'UE l’ha già fatto, ma Facebook, YouTube e TikTok hanno permesso ai media statali russi di continuare a pubblicare contenuti sulle loro piattaforme negli Stati Uniti e in altri Paesi, nonostante la Russia non permetta loro di operare liberamente sul proprio territorio. Come osservato da Formiche, rimane da capire in quale modo la censura, da parte di uno Stato, delle piattaforme con cui i cittadini si informano e fanno circolare le notizie possa essere interpretata come una vittoria: si sta materializzando una frammentazione della rete, divisa in “blocco atlantico” e “blocco Est”. Ogni successiva frammentazione renderà impossibile, per normali cittadini di una delle parti, informarsi e fare sentire la propria voce. Siamo sicuri che una rete frammentata sia la scelta migliore?
Balli pericolosi
TikTok è una delle piattaforme più popolari per la condivisione di video e foto del conflitto russo-ucraino. Secondo il New York Times, nell'ultima settimana, centinaia di migliaia di video sulla guerra sono stati caricati sull'app da tutto il mondo. Questa ha messo però TikTok in una posizione difficile. Infatti, ora la piattaforma si ritrova a dover moderare moltissimi contenuti, la maggior parte dei quali non proviene da fonti verificate. E l’algoritmo che suggerisce foto o video in base alle preferenze dell’utente e permette alle persone di scaricarli e condividerli con molta facilità è lo stesso che semplifica la diffusione di video non verificati sulla piattaforma. Per risolvere questo problema, come spiega Wired, TikTok ha iniziato a collaborare con organizzazioni indipendenti di fact-checking con l’obiettivo di contrastare la disinformazione. Tuttavia, proprio a causa del suo funzionamento, questa attività di verifica e monitoraggio dei contenuti sta riscontrando molti problemi. Il social network è diventato una vera e propria arma nelle mani di chi tenta di manipolarlo per diffondere fake news. Quando si è trattato di divulgare video a favore dell’Ucraina, il mondo ha potuto comprendere l’orrore della guerra in corso, ma quando i suoi sistemi sono stati utilizzati per altri scopi, come diffondere notizie false (vedi Editoriale 71), TikTok ha contribuito a creare più confusione sulla situazione in Ucraina, tanto che molti utenti hanno una visione distorta del conflitto. Occorre che il social network spieghi con trasparenza il modo in cui sta gestendo i contenuti sulla guerra.
Twitter guarda al futuro
Twitter sta sentendo la necessità di cambiare il suo modo di lavorare, innovare, diventare molto più di una piattaforma (vedi Editoriale 56). Come ricorda il New York Times, quest’idea era già sorta nel 2008 in Blaine Cook – uno dei fondatori del social network – il quale immaginava Twitter come una spina dorsale per le chiacchiere online che avrebbe permesso ai suoi utenti di scambiare liberamente messaggi con persone su altre piattaforme di social network invece di chiuderli in conversazioni tra di loro. Ora, però, l’azienda sembra voler perseguire il tipo di decentralizzazione; infatti, il suo nuovo amministratore delegato, Parag Agrawal, ha sostenuto la decentralizzazione all'interno dell'azienda assumendo sviluppatori di criptovalute e dando priorità ai progetti correlati. E ora i dirigenti di Twitter credono che decentralizzare il servizio di social network sposterà radicalmente il potere online verso gli utenti; quindi, porrà una sfida fondamentale ai competitors.
In Giappone vince ancora la carta
Il Giappone continua ad essere il Paese che vende più quotidiani al mondo, grazie anche all’alto tasso di alfabetizzazione della popolazione che ha sempre garantito successo e diffusione dei testi scritti. Come riportato dal Post, però, gli ultimi dati riportano un evidente calo delle vendite dei principali quotidiani giapponesi, minacciati anche dal mercato delle notizie online e dai network televisivi. I ricavi provenienti dal digitale in Giappone sono tra i più bassi al mondo e le peculiarità dell’industria giornalistica giapponese si stanno trasformando da punti di forza in debolezze e la tardiva o mancata transizione al digitale rischia di diventare un problema difficile da affrontare. Questo scenario rende adesso necessario un cambio di passo per l’informazione giapponese online che, ancora nel 2022, deve trovare un suo spazio nel Paese. Sembra quasi impossibile da credere considerate le nostre abitudini d’informazione. Questa “mancanza” di attenzione all’informazione online cosa comporterà per il Giappone? Potrà essere un passo in avanti e un completamento del panorama giornalistico oppure potrebbe essere anche una spinta alla disinformazione?