Editoriale 74
La comunicazione sui media
07 - 13 marzo
15 marzo 2022
Teoria dell’assiepamento sui social. Raggiri da storyteller. La newsletter di Orban. La voce della diplomazia russa. Critiche al primo Emendamento.
La Redazione
Teoria dell’assiepamento sui social
Come riportato dal Post, sui social media una parte degli utenti ha espresso dispiacere per le vittime e preoccupazione per gli sviluppi del conflitto in Ucraina, mentre una quota significativa delle reazioni collettive nei paesi occidentali ha mostrato un certo grado di aggressività verbale, eccentricità e umorismo spesso fuori luogo o di cattivo gusto. Questo fenomeno ha rafforzato tra alcuni osservatori l’impressione che esista uno squilibrio tra le reazioni sulle piattaforme, considerate un insieme caotico e imprevedibile, e quelle individuali, più empatiche e consapevoli della complessità di un evento. Per spiegare la diffusione di questi atteggiamenti sui social, si può fare riferimento alla nozione di “assiepamento” (milling), nota all’interno della psicologia delle masse, secondo la quale l’individuo perde la responsabilità individuale perché ha l’impressione che la massa assuma un comportamento universale. Nel caso delle reazioni sui social all’invasione dell’Ucraina, l’assiepamento si è manifestato attraverso un’eccitazione incontrollata e confusa tra le persone che cercavano di capire come pensare a ciò che stava accadendo, portando ad uno spostamento dell’attenzione dall’evento in sé alla percezione che le altre persone avevano dell’evento. Queste reazioni possono essere in grado di disattivare i normali meccanismi individuali di valutazione dell’attendibilità delle fonti, con conseguenze come la diffusione di fake news e di sentimenti collettivi guidati dalla propaganda. Infatti, molti contenuti non verificati o prodotti per fare propaganda a favore di entrambe le parti sono stati diffusi con poche cautele riguardo alla loro attendibilità, causando, secondo il giornalista americano Glenn Greenwald, un incremento di tribalismo, fanatismo, rettitudine morale ed emotività. Più unità emerge a sostegno di una narrazione morale mondiale, più diventa difficile per chiunque valutarla criticamente, perché le facoltà necessarie per fare quelle valutazioni vengono deliberatamente disattivate sulla base della convinzione di aver raggiunto la certezza morale assoluta.
Raggiri da storyteller
Lo “storytelling”, come spesso è definita nel mondo della comunicazione la capacità del narrare storie coinvolgenti, è un termine che si è coperto nel tempo di un secondo significato controproducente per chi ne faccia utilizzo. “Sfila via i fatti dalla realtà: quel che resta è storytelling” è la celebre ed eloquente definizione di Alessandro Baricco, che pure riconosce come questo concetto, abusato nel corso degli anni, abbia acquisito una connotazione negativa. Secondo un articolo di Niemanlab, l’80% delle apparizioni del vocabolo in biografie di Twitter sono incluse nei profili di giornalisti, desiderosi di presentarsi come narratori abili e creativi. Ma è davvero un epiteto meritevole? Un sondaggio su un campione nazionale di 2.133 adulti americani ha sottolineato un’evidente propensione per i lettori a ritenere “di parte” un articolo scritto da un giornalista che si autodefinisce storyteller, tacciato di sensazionalismo e iniquità. Lo stesso articolo, tra lettori non informati del medesimo epiteto, non suscitava invece la medesima reazione negativa. Solo il 13% dei sondaggi ha attribuito al termine “storyteller” un’accezione positiva, altrimenti associato al concetto di “inganno” e “bugia”. Si evidenzia pertanto una dicotomia tra il significato attribuito da giornalisti e specialisti della comunicazione rispetto a quello comunemente percepito tra non addetti.
La newsletter di Orban
Il prossimo 3 aprile il primo ministro ungherese Viktor Orban affronterà le elezioni e, secondo quanto riporta The Economist, starebbe utilizzando la campagna vaccinale anti-Covid 19 per fare propaganda politica, usando la mailing list di un database di vaccinazioni. A febbraio, le persone che si sono registrate per i vaccini sul sito web del ministero della salute hanno iniziato a ricevere e-mail di campagna elettorale sottilmente mascherate per Fidesz, il partito di governo. Queste affermavano che il governo stava saggiamente tenendo l'Ungheria fuori dalla guerra in Ucraina, e diffondevano la fake news che l'opposizione aveva proposto di inviare truppe. Orban è amico e uno dei principali alleati di Vladimir Putin, e l’Ungheria uno dei principali veicoli della propaganda russa in Europa. La guerra in Ucraina crea sicuramente un problema al primo ministro ungherese: più Putin bombarda l’Ucraina, più Orban è offuscato dall'associazione. Ecco che allora Orban cerca con ogni mezzo di restare in carica, e la propaganda via mail mostra come ha confuso la separazione dei poteri, usando gli strumenti dello stato per rafforzare il controllo di Fidesz.
La voce della diplomazia russa
Il ministro degli esteri russo Sergey V. Lavrov, nel corso della conferenza stampa in Turchia, ha commentato l’operazione militare Russa definendola una semplice “operazione speciale” e non come un’invasione: “Non abbiamo intenzione di attaccare altri Paesi. Non abbiamo nemmeno attaccato l’Ucraina”. La narrativa Russa rimane la stessa nonostante le evidenti prove e immagini dell’invasione avviata lo scorso fine febbraio. L’arma più grande nelle mani del Cremlino, oltre le armi, è certamente la propaganda e il controllo dell’informazione interna, anche se non sempre efficace. Lavrov, come raccontato dal The Washington Post, da Linkiesta e da Aldo Grasso sul Corriere della Sera, è la esatta personificazione di una propaganda oligarchica e contraffatta che riesce a mostrare le debolezze dei suoi avversari. Lavrov, infatti, è capace di formulare contemporaneamente un’idea e il suo opposto rigirando a volte le colpe agli stessi accusatori, come ad esempio gli Stati Uniti, evidenziando le criticità e mancanze di altri sistemi certamente non perfetti. Distogliere l’attenzione dalla realtà e creare delle proprie verità è la strategia fondante di queste settimane di guerra russa ma certamente l’ignoranza e la memoria corta di chi ascolta spesso aiutano a rendere vincente una mossa anche quando è evidentemente errata.
Critiche al primo Emendamento
Fox News e altri media americani sono sotto accusa per reati di diffamazione. La rete americana aveva accusato Smartmatic (una società che si occupa del voto elettronico) di aver truccato i dati in modo da portare Biden alla vittoria nelle elezioni del 2020. Ora la compagnia ha fatto causa a Fox News per diffamazione chiedendo un risarcimento da 2,7 miliardi di dollari e coinvolgendo altre testate giornalistiche, come Newsmax e One America News Network. I giudici, come spiega il New York Times, sembra vogliano respingere le richieste di archiviazione fornendo un’ampia critica al Primo Emendamento (che stabilisce, in sostanza, la libertà di parola e di stampa). Le cause, che sono state discusse in diversi tribunali statali e federali, si basano sulla convinzione che questi organi di informazione promuovano intenzionalmente e traggano profitto da false affermazioni riguardanti i casi di frode elettorale. Secondo gli esperti del Primo Emendamento, se i media avranno la meglio i risultati potrebbero mettere in discussione il ruolo e la responsabilità che le testate hanno quando pubblicano qualcosa di non vero. Negli Stati Uniti i casi di diffamazione sono molto difficili da provare: deve essere infatti dimostrato che una persona o un media sapeva che ciò che ha detto era falso o ha agito con “sconsiderato disprezzo” per l'alta probabilità che fosse sbagliato. La questione legale pone anche una riflessione importante sul confine tra la diffusione di disinformazione e la libertà di stampa: se una testata giornalistica pubblica qualcosa che potrebbe essere falso deve porsi in modo neutrale e dissociarsi. Fox News sostiene di aver dato spazio a ospiti che hanno fatto affermazioni fallaci o proposto storie folli solo per alimentare il dibattito pubblico. Inoltre, si reputa un osservatore imparziale che ha posto l’attenzione su un fatto degno di nota e di interesse pubblico. Bisogna ammettere che quando si consente la libertà di parola in una società democratica esiste la possibilità di sbagliare, ma forse è vero anche che la legge sulla diffamazione è uno dei pochi modi che si hanno a disposizione per distinguere la verità dalle falsità.